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Da: M. 
  SARDEGNA: strumenti, balli e canti
[30-01-2010]  
stimolare qualche navigatore ... a scrivere qualcosa ... su organologia ... musica ... ballo ... canti ...
mi sembra che il forum sia un po' carente...
Sperando di far cosa gradita ...
M.

GIULIO FARA DESSY.

A 25 anni nel 1905 sulla Rivista Musicale Italiana fa la sua dichiarazine d’amore per la musica della sua isola e per i successivi quarantanni gli resterà fedele.

Dai suoi numerosissimi articoli …


Sul Ballo…tipico sardo

Quando i contadini danzano, la musica del ballo sardo viene, quasi sempre, eseguita con le launeddas, ma in mancanza di queste si usa anche un organino a mantice, o un rustico cantore, in mezzo al cerchio dei danzatori, canticchia i motivi del ballo sardo su parole, assai spesso senza senso, che ripete tante volte, e, ogni tanto, gli stessi danzatori emettono un lungo e stridulo grido che segna le ritmiche cadenze di ogni nora del ballo.


tutto il ballo sardo, per quanto comprenda una grande quantità di temi – noras – ritmicamente dissimili gli uni dagli altri è intieramente isometrico, di misura binaria formata di elementi ternari – terzine di crome – e quindi il suo tempo è il 6/8, quello stesso tempo che sappiamo tanto frequentemente usato dai Greci nelle loro danze e che veniva chiamato: dipodia trocaica. Così pure, il ballo sardo ha, in tutta la sua figurazione mimica, una severità di linea che ricorda il culto della estetica professato nella classica Ellade e che lo accosta assai alle danze greche che ancor oggi – conservate per tradizione – si eseguiscono in alcuni villaggi greci, e, più specialmente, alla antichissima danza in catena (“drovmo"). In entrambi i balli vi è la stessa catena circolare formata da giovanotti alternati a fanciulle che si tengono per mano e danzano attorno al suonatore o cantore29; le stesse movenze composte, direi quasi compassate, negli uomini, che si tengono col corpo rigido e che conservano un contegno grave, quasi non vogliano rinunciare alla virile dignità anche nei tripudi della danza30; le stesse leggiadre, ma pur modeste, movenze delle donne; infine, lo stesso lento e ritmico movimento aggirante di tutto il cerchio dei danzatori, da destra a sinistra.


Sulle Launeddas (Strumento tradizionale sardo per eccellenza, inutile dire che ci vorrebbe una descrizione organologica... recette lo sorece a noce rammi tiempo ca ti spertoso)

Differenze con la tonalità di SOL maggiore delle launeddas.

Cunzertu di launeddas

Noi osserviamo come in alcuni cunzertus di launeddas, mentre le note fondamentali delle tre canne danno l’accordo di tonica di un dato tono, le altre note presentano alterazioni estranee alla tonalità presupposta dal primo accordo dato, e portano invece alla formazione di scale ove le distanze fra nota e nota sono diversamente distribuite che non nelle tonalità moderne e acquistano invece la forma di uno dei modi della musica greca; così, nel cunzertu chiamato organu da me esaminato, si vede che mentre le note fondamentali danno l’accordo sol re sol, che farebbe supporre essere il cunzertu tagliato in sol, invece, esaminando gli altri gradi della scala, dati dai fori laterali della mancosa manna o della mancosedda, non si trovano fra essi né la nota caratteristica del tono di sol maggiore, cioè il fa diesis (sensibile che sale di semitono alla tonica), né la nota caratteristica della tonalità di sol minore, cioè il si bemolle (semitono fra il secondo e terzo grado della scala), in maniera che si ha una scala da sol a sol di note naturali, come precisamente nel modo ipofrigio dei Greci



COSIMA GRAZIA DELEDDA
, 1871 – 1936. Scrittrice ed etnologa, insignita del premio Nobel per la letteratura nonstante avesse frequentato fino alla quarta elementare. Gli scritti della Deledda rivestono un interesse antropologico imprescindibile per chi si occupa a qualuque livello di cose sarde. Quindi, la maturazione intellettuale della scrittrice si basa su una cultura antiaccademica. Addirittura un suo fratello disse che, considerato i sui interessi, difficilmente avrebbe trovato marito, e che quindi rappresentava un pericolo per la gestione della famiglia.


Da romanzo Canne Al Vento.



Le par d’essere ancora fanciulla, arrampicata sul bel vedere del prete, una sera di maggio. Una grande luna di rame sorge dal mare, e tutto il mondo pare di oro e di perla. La fisarmonica riempie con i suoi gridi lamentosi il cortile illuminato da un fuoco d’alaterni il cui chiarore rossastro fa spiccare sul grigio del muro la figura svelta e bruna del suonatore, i visi violacei delle donne e dei ragazzi che ballano il ballo sardo. Le ombre si muovono fantastiche sull’erba calpestata e sui muri della chiesa; brillano i bottoni d’oro, i galloni argentei dei costumi, i tasti della fisarmonica: il resto si perde nella penombra perlacea della notte lunare.



La festa durava nove giorni di cui gli ultime tre diventavano un ballo tondo continuo accompagnato da suoni e canti: Noemi stava sempre sul belvedere, tra gli avanzi del banchetto; intorno alei scintillavano le bottiglie vuote, i piatti rotti, qualche mela di un verde ghiacciato, un vassoio e un cucchiaio dimenticati; anche le stelle oscillavano sopra il cortile al ritmo di danza. No, ella non ballava, non rideva, ma le bastava per vedere la gente a divertirsi perché sperava di poter anche lei prender parte alla festa della vita.



Un gran fuoco di lentischi, come lo aveva veduto Noemi fanciulla, ardeva nel cortile di Nostra Signore del Rimedio, illuminando i muri nerastri del santuario e le capanne attorno.

Un ragazzo suonava la fisarmonica, ma la gente, che era appena uscita dalla novena e preparava la cena o già mangiava entro le capanne non si decideva a cominciare il ballo. Era presto ancora. Sul cielo lucido del crepuscolo spuntavano le prime stelle, e dietro la torretta del belvedere l’occidente rosseggiava spegniendosi poco a poco. Una gran pace regnava sul quel villaggio impovvisato, e le note della fisarmonica e le voci e le risate entro le capanne parevano lontane.



Già alcune donne si eran decise a riunirsi attorno al suonatore, porgendosi la mano per cominciare il ballo. I bottoni dei loro corsetti scintillavano di fuoco, le loro ombre si incorciavano sul terreno grigiastro. Lentamente si disposero in fila, con le mani intrecciate, e sollevando i piedi accennando i primi passi della danza; ma erano rigide e incerte e pareva si sostenessero a vicenda.

<> gridò Natolia, e siccome Grixenda la pizzicava al braccio aggiunse:<>.

Ma al grido Efix era apparso e si avanzava battendo i piedi in cadenza e agitando le braccia come un vero ballerino. Cantava accompagnandosi:



A sa festa… a sa festa so andato… (Alla festa … alla festa sono andato)



Arrivato accanto a Grixenda le prese il braccio, si uni alla fila delle danzatrici e parve davvero di animare con la sua presenza il ballo: i piedi delle donne si mossero più agili, riunendosi, strisciando, sollevandosi, i corpi si fecero più molli, i visi brillarono di gioia.

<< ecco il puntello. Forza coraggio!>>

<< E su! E su!>>

Un filo magico parve allacciare le donne dando loro una eccitazione composta ed ardente. La fila si cominciò a piegare, formando lentamente un circolo: di tanto in tanto una donna s’avanzava, staccava due mani unite, le intrecciava alle sue, accresceva la ghirlanda nera e rossa dietro cui si muoveva la frangia delle ombre. E i piedi si sollevavano sempre più svelti, battendo gli uni sugli altri, percuotendo un la terra come per svegliarla dalla sua immobilità.

<< E su! E su!>>

Anche la fisarmonica suonava più lieta e agile. Grida di gioia echeggiarono, quasi selvagge, come per domandare al motivo del ballo una intonazione più animata e più voluttuosa.

<< Uhì! Uhiahi!>>

Tutti eran corsi avedere, e là in fondo nell’angolo del cortile Grixenda distinse i capelli dorati di Giacinto fra i due fazzoletti bianchi delle zie,

<< Compare Efix, fate ballare il vostro figlioccio!>> disse Natolia.

<< Quello si è un puntello, si!>>

<< Mettilo accanto alla chiesa e ti sembrerà un campanile.>>

<< E sta zitta, Natolia, lingua di fuoco.>>

<< Parlano più i tuoi occhi che la mia lingua, Grixè.>>

<>

<>



A sa festa… a sa festa so andatu…



Il grido trmolava come un nitrito, e le gambe delle donne, disegnate dalle gonne scure, e i piedi corti emergenti dall’ondulare dell’orlo rosso si movevan si muovevano sempre più agili scaldati dal piacere del ballo.

<< Don Giacinto! Venga!>>

<< E su! E su!>>

<< E venga! E venga!>>

Tutte le donne guardavano laggiù sorridendo. I denti brillavano agli angoli delle loro bocche.

Egli balzò, quasi sfuggendo alla prigionia delle due vecchie dame; arrivato però in mezzo al cortile si fermò incerto: allora il circolo delle donne si aprì, si allungo di nuovo in fila, andò incontro allo straniero come nei giuochi infantili, lo accerchiò, lo prese, si richiuse.

Messo in mezzo fra Grixenda e Natolia, alto, diverso da tutti, egli parve la perla dell’anello della danza; e sentiva la piccola mano di Grixenda abbandonarsi tremando un poco entro la sua, mentre le dita dure e calde di Natolia s’intrecciavano fortealle sue come fossero amanti.



Il più felice di tutti era Efix. Sdraiato su un mucchio d’erba, in una delle muristenes vuote, gli pareva ancora di ballare e di ammirare Giacinto. E gli sorrideva come gli sorrideva le donne. Ecco, la figura del “ragazzo” aveva già preso nella sua vita il miglior posto come nel circolo della danza.




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