Stai rispondendo al messaggio di: Pino Pontuali
[10-11-2008, a 10:30]
Re: La ubiquitarietà della musica popola
A Tizzia', ma nun ce dormi la notte?
Hai messo il dito sulla piaga. In effetti, questo da te sollevato, è un quesito che ha sempre interessato chi si occupa di musica popolare.
Il fenomeno del ritrovamento dei testi dei canti in ambiti lontani tra loro non è databile, però può essere spiegato con quanto da te ipotizzato, aggiungendo anche il flusso millenario sia delle transumanze sia dei lavoratori agricoli stagionali.
Ma mentre che i testi dei canti hanno veicolato fin dai tempi remotissimi, le melodie, invece, si adattavano agli stilemi territoriali, che erano ingabbiati nelle possibilità musicali degli strumenti usati molte volte solo in quei territori.
Con l'avvento dell'era industriale, che coincise con l'apparizione del pianoforte prima e dell'organetto poi, anche le melodie dei canti "d'importazione" cominciarono a circolare grazie a strumenti, appunto come l'organetto, che per necessità di mercato era predisposto a soddisfare tutti (o quasi) gli stilemi della musica popolare.
Purtroppo, però, le raccolte dei canti popolari, soprattutto nella seconda metà del XIX secolo, erano fatte da persone "colte" che erano più affascinate dalla poeticità dei testi che dalle melodie; pertanto si hanno una grande quantità di raccolte letterarie dei canti popolari di quasi tutte le regioni, mentre non si hanno (forse solo l'un per mille) notizie su come quei canti venivano cantati.
Ancora peggio andò per le musiche deil balli popolari; non essendoci testi ad accompagnarli, dei saltarelli, delle tarantelle ed altro non c'è quasi nessuna traccia di come quelle musiche erano prima di cento anni fa. Però questo sarebbe servito solo agli studiosi, mentre a noi forse interessa di più la musica che, per effetto della evoluzione culturale, è arrivata fino a noi.
Pino
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