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evoluzione/tradizione nella costruzione della battente
[07-03-2007]
Ammesso che interessi a qualcuno, vorrei dire la mia OPINIONE su: Come si fa a fare una cosa “secondo tradizione”:
All’appropinquarsi del Natale nel Cilento si usa fare un dolce che si fa solo in quell’occasione, le pasticelle, per farla breve una specie di tortello fritto ripieno di una pasta dolce.
Quello che caratterizza questo dolce sono TRE COSE: la forma rotonda, l’esistenza di una farcitura e il metodo di cottura (frittura), ebbene, pur rispettando queste TRE COSE, da un paese all’altro del Cilento non si vedono due pasticelle uguali, e anche nello stesso paese c’è differenza fra la quelle fatte da una famiglia e quella di un’altra,
anzi, siccome è usanza sotto Natale scambiarsi questi dolci e quindi ci si ritrova con la credenza piena di pasticelle di ogni provenienza, un pranzo di Natale non è tale se arrivati al dolce non si comincia il gioco di “indovina di chi è la pasticella !” , e quindi giù ipotesi, scommesse, illazioni ecc..: “questa è di zia Catarina!” perchè si sentono le pere cotte ! , “questa viene da Torchiara, solo loro ci mettono le castagne !” oppure “quella è di commare Rosina” è bianca come la faccia sua ! oppure “questa è di montagna” (cioè dei paesi lontani che non guardano sul mare..), salvo inorridire davanti a qualche “esemplare” cotto al forno anziché fritto.. (sperimentazione/contaminazione..)
e allora se gli ingredienti e il risultato sono diversi mi chiedo, dov’è la tradizione ? è semplice: nel rispettare le TRE COSE ma soprattutto nel rigore DEL METODO, cioè nel procedimento usato per arrivare al risultato.
Mi spiego: per fare la farcia delle pasticelle non mi faccio arrivare le nocciole da Benevento né le prungne dalla California, uso i prodotti locali, quindi se sto a Torchiara ci metto le castagne, se sto a Acciaroli ci metto i pinòli, SI E’ SEMPRE FATTO COSI’ eppure le pasticelle vengono sempre diverse, perché i prodotti cambiano, le colture pure, se un’anno mi regalano le noci ci metto le noci ! ma allora dov’è la tradizone, ergo:
se mi faccio arrivare le prugne dalla California commetto una “contaminazione”, se ci metto le noci che mi hanno regalato “sto rispettando la tradizione”, LA TRADIZIONE E’ SOPRATTUTTO NEL RISPETTO DEL METODO, E QUESTO PERMETTE LA NATURALE EVOLUZIONE.
Ecco che non c’è nessuna contraddizione tra tradizione ed evoluzione, anzi vanno a braccetto, la tradizione si evolve da sé, è in continua evoluzione, fare le cose secondo tradizione non significa farle UGUALI ma farle con METODO UGUALE, se non fosse così oggi Marcello Vitale suonerebbe la “mascella di cavallo” e Alessandro Mazziotti studierebbe ancora il suono della sua panza durante la digestione.
Questa premessa era per riallacciarmi al discorso sull’uso del compensato nella costruzione delle chitarre battenti, secondo il mio (sopraillustrato) modo di pensare, chi negli ultimi decenni ha realizzato chitarre battenti in compensato, non ha fatto altro che rispettare la tradizione che prevede che queste si facciano con il legno disponibile, delle proprie zone e comunque nelle proprie disponibilità, non credo che i falegnami/liutai si facessero spedire le tavole armoniche di abete della val di fiemme COME INVECE SI FA OGGI, e sono questi che, secondo me E AL DI LA’ DEI RISULTATI CHE POSSONO ANCHE ESSERE ECCELLENTI, non rispettano la tradizione (ammesso che gli interessi farlo..)
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Re: evoluzione/tradizione nella costruzione della battente
[07-03-2007]
Bravo Alfonso. Bellissima riflessione la tua.
Quanti parallelismi si possono fare su ciò che hai detto !!!!
Io sono originario di Campana (paese della Sila Greca) il cui territorio è ricchissimo di quercie. Le travi per la costruzione delle case sono fatte di quercie. La trave di quercia è la migliore dicono i campanesi.
Mia moglie è originaria di Domanico (paese delle Serre Cosentine) il cui territorio è ricchissimo di castagni. Le travi per la costruzione delle case sono fatte di castagni. La trave di castagno è la migliore dicono i domanichesi.
Al di là del fattore "campanilismo" emerge un dato. Ogni territorio sfrutta quello che ha.
Nella musica popolare esistono le "varianti" o "variabili". Il brano viene affrontato "eterofonicamente" ... non è una parolaccia, indica soltanto il modo democratico di esecuzione. Il brano è quello ma cambia il tipo di approccio con lo stesso determinato da diversi fattori: ambiente, età, sesso ...etc.
"La calavrisella" è l'Inno Regionale della Calabria (ho già scritto altrove su questo).
La "Calavrisella" che si esegue a Domanico è diversa dalla versione di Rossano. Perchè ? E' semplice ... l'incontro tra i due giovani è lo stesso, il contenuto del loro dialogo è lo stesso (proposta di fidanzamento, promessa), il simbolismo è lo stesso (verginità della ragazza), gli elementi della scena sono gli stessi (fontana, brocca ...) però ... in un paese di montagna l'incontro avviene tra la ragazza ed un cacciatore, un boscaiolo .... in un paese di marina l'incontro avviene tra la ragazza ed un pescatore, un marinaio. In pratica ogni comunità prende il prodotto folclorico e lo fa proprio ... cambiandolo in funzione di quello che ha (personaggi compresi). Un canto popolare per essere tale non può esprimere esigenze diverse da quelle della collettività cui appartiene.
Le chitarre battenti che si acquistavano nelle fiere (io ne posseggo una e tu lo sai ... ormai purtroppo irriconoscibile) non erano fatte di materiale sofisticato dai falegnami del tempo proprio perchè (come hai ben sottolineato) venivano fatte nel rispetto della tradizione che prevede l'utilizzo del materiale di facile reperibilità. Andare a carpire il "metodo" di costruzione presso un vecchio liutaio è il fine del liutaio giovane che cerca di costruire il proprio strumento secondo tradizione.
Se poi, attualmente ... ai fini di una maggiore sonorità e rendimento dello strumento si utilizzano materiali più sofisticati ... questo fa parte di una naturale evoluzione.
Contaminazione è una cosa, evoluzione è un'altra! E' vero ... ma lasciami tornare al discorso del canto popolare ... che rende ugualmente bene l'idea della questione da te proposta!
E’ vero che, spesso un canto, almeno lo si immagina, è invenzione di uno solo, magari più acculturato degli altri o semplicemente più sensibile, ma bisogna pur dire che per entrare a far parte del folclore un canto individuale deve attraversare una sorta di censure sociale preventiva e diventare patrimonio della collettività. L’opera popolare è sovraindividuale ed esiste potenzialmente, come una sorta di canovaccio, tramandato oralmente; essa trova di volta in volta la sua oggettivazione negli interventi individuali, nelle particolari esecuzioni (ambiente, età, sesso ... ricordi ?). E così il canto popolare, in seguito alla collettivazione delle innovazioni individuali apportate nelle esecuzioni, si va a poco a poco trasformando .... (Evoluzione).
Stesso discorso è per le Pasticelle de Cilento no ?
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Re: evoluzione/tradizione nella costruzione della battente
[07-03-2007]
Caro Davide, non ho per niente frainteso, ho toccato l’argomento solo perché ricordavo che era stato ripetutamente toccato ma non ricordo nemmeno da chi..
“..per me rispettava anche lui la tradizione e per quanto ne so io gli elefanti non si allevano nè si allevavano in Italia...”
Non mi sono spiegato bene, mò ci riprovo: se in quella epoca la prassi è usare l’avorio per la decorazione, il liutaio che si fa arrivare l’avorio dall’estero secondo me sta rispettando la tradizione, se invece pur essendo l’uso dell’avorio prassi dell’epoca lui ammazza il gatto di casa e con la pelliccia ci decora la buca per me è un innovatore/sperimentatore (questo per ora non vorrei discuterne), quindi non volevo dire che il rispetto della tradizione consiste nel procurarsi i legni del luogo, ma che consiste nel rispettare la prassi dell’epoca.
A scanso di equivoci vorrei precisare che non ritengo che quanto dico rappresenti la verità, rappresenta solo una mia opinione.
Sono d’accordo con te che “..se oggi un liutaio ordina l'abete della Val di Fiemme non piscia fora o rinale..”, perché oggi è prassi, lo fanno tutti i liutai, ma se lo facesse un artigiano-ebanista-falegname sarebbe molto diverso, allora sì che sarebbe una innovazione/contaminazione. L’ebanista-liutaio Domenico Campitiello di Stio (Cilento) utilizza l’abete della val di fiemme, ma quando vuole fare una battente “tradizionale” usa i legni “che ha attorno”, ciliegio, noce, acero e ..la tavola armonica la fa di gelso.
E sentite cosa dice: “La costruzione delle chitarre battenti cilentane era eseguita con strumenti rudimentali e senza applicare tecniche particolari. Non esistevano veri e propri liutai, infatti questo strumento, insieme a mandolini e chitarre classiche, non veniva costruito per essere venduto ma per divertirsi nelle antiche serate contadine” . Questo è quello che succedeva nel Cilento.., non so cosa succedeva nelle altre parti d’Italia.
“c'è chi usa legnami che all'epoca della nascita del nostro amato strumento non erano in uso nella liuteria, o mette i tasti della chit classica nella battente, però se il risultato è il suono magnifico di una chitarra di Vincenzo De Bonis io dico: Chi se ne fotte della filologia!”
Sono assolutamente d’accordo, ma asserisco pure che, quando Campitiello o chi altri usa legnami locali (o immediatamente disponibili) infischiandosene della resa sonora compie una meritoria e tradizionalissima operazione ! (anche nel rispetto dell’ottica che quella battente non veniva costruita per essere venduta ma per divertimento)
Poi magari invece del musicista la comprerà il suonatore.., bè esistono anche loro..
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Re: evoluzione/tradizione nella costruzione della battente
[08-03-2007]
sulla disponibilità
Alla fine degli anni ‘70, Espedito lavorava in una specie di stalla, quando arrivai nella sua bottega era intento nel suo lavoro e aveva la maglietta (tipo maglietta della salute) piena di trucioli (molto tirata sulla panza) . Era seduto su una sedia, non ho visto i classici tavoli da falegname o cose del genere (forse c’erano anche), la cosa particolare è che accantonati da una parte c’erano tutti gusci di battente, sembrava quasi una montagnola (se non ricordo male Antonello ha qualche fotografia). Se qualcuno venendo dalla città pensa che nella metropoli ha visto tutto quella bottega era un buon posto dove ricredersi. Qualcuna era finita, ne presi una e provai a suonarla, Espedito mi disse “esti bona, esti bona” . Non discussi. la pagai circa cinquantamila lire o giù di lì. 4 corde singole (ho inviato le foto recentemente ad Alfonso) che, non faccio per vantarmi, non ho mai cambiato, non capisco perché, ma non si rompono. Di Costantino ne ho avute 3, oggi mi rimane solo il chitarrino. Di Vincenzo ne ho una.
Secondo me la cosa che colpisce di più è la sovrapponibilità dello schema costruttivo.
Provo a spiegarmi, per esempio: i piroli sono fatti tutti con la stessa concezione: taglio longitudinale per far passare la corda, Espedito e Costantino, buco invece per Vincenzo, (anche se ne ho viste altre fatte da lui con il taglio); manico e paletta sono realizzati da un unico pezzo; la concezione della rosetta è identica ecc.
In questo senso voglio dire lo strumento di Espedito è a parer mio molto sofisticato , le decorazioni fatte con il pennarello hanno un chiaro intento settecentesco (sono negli stessi punti ed hanno lo stesso significato delle chitarre da museo). Gli elementi e gli intenti sono identici ma non i materiali usati e chiaramente le rifiniture.
La differenza sta molto sulle rifiniture e sui materiali (dell’uso ne parliamo dopo). E qui entra in gioco il discorso della disponibilità dei materiali.
La rosetta è emblematica, a fronte di uno schema costruttivo come dicevo sovrapponibile, Espedito ha usato, per la chitarra in mio possesso, un cartoncino ricavato da un pacco di zucchero eridania (fra l’altro ha provato a ‘decorticare’ la scritta ma poi ha abbandonato l’idea). Nell’ottica della disponibilità che giustamente cita Alfonso, ha preso la prima cosa che poteva andare bene, che fosse a portata di mano (è arrivato in cucina) e pensate un po’ anche riciclando.
Certo c’è poi da fare una differenza fra chi per ‘mestiere’ faceva il liutaio producendo sia oggetti musicali per il signorotto, paesano o cittadino che fosse (se uno non usa lo strumento, fra l’altro, gli si conserva pure – molti strumenti nei musei si sono conservati perché da esposizione) sia oggetti musicali per il ‘volgo’ e fra chi si muoveva unicamente in un contesto contadino.
Ora la domanda e la riflessione che vi propongo sollecitato da Alfonso è questa: cosa è disponibile oggi? penso che per certi versi Rivolta e Goth lo siano diventati. Agli inizi degli anni ’50 o ’60 no, ma oggi forse si.
Ma vorrei spostare il ragionamento sugli aspetti musicali.
Il ‘suonatore popolare’ ( magari all’inizio del secolo) aveva nella sua disponibilità: uno strumento che si poteva permettere, una cultura di sostegno, una visione della vita e della natura caratteristica di quella cultura, una tecnica in parte tramandata ma forse anche arricchita da invenzioni personali a disposizione.
Un’altra caratteristica penso che sia che il nostro suonatore, per esempio delle Serre, non conosceva per nulla Carpino, ma proprio per nulla, così come non conosceva qualcosa a lui più vicino ancora, ne la loro tecnica. Quasi pensava che la battente ci poteva essere solo al suo paese. Un ‘micro-mondo’ legato a Carpino, o a quello che vogliamo, però da un filo invisibile e antico.
Per noi figli di emigrati il problema è ancora sulla dimensione della disponibilità.
Dico quello che è per me e che forse potrà anche essere condiviso in parte da altri. Provo a fare musica con i ‘materiali’ che ho a disposizione: la musica che ho sentito, gli strumenti che ho, la mia visione della vita e del mondo, i miei affetti, la tecnica che ho appreso guardando e quella che mi sono costruito da solo. Roba da emigranti.
Concludo: ancora oggi non riesco a fare distinzione quando mia madre e mio padre parlano in italiano o in calabrese, anche questa deve essere una cosa da emigranti, ...sembrano la stessa lingua.
Spero di non avervi annoiato e spero di avere ‘passato’ una piccola idea di Espedito per chi non lo ha mai visto.
gianfranco
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Re: evoluzione/tradizione nella costruzi
[03-04-2007]
dunque, ti parlo della mia esperienza personale,
le chitarre di Vincenzo e Nicola (le due che posseggo + tutte
quelle che mi è capitato di visionare) sono e sono sempre state:
piano armonico rigorosamente in abete;
fascie e fondo, doghe sono in palissandro
e si possono alternare con doghe in acero o raramente in noce
tastiera ebano! le più lavorate recano intarsi in acero.
il manico, unico pezzo con la paletta, può variare, noce, mogano, palissandro.
x quanto riguarda Costantino... è 'na parola!!! La sceltà dei legni è molto
più "a cazzo".
le mie due sono:
piano armonico in abete;
fascie e fondo in ciliegio la più vecchia in acero l'altra;
tastiera in palissandro, mai in ebano.
manico quello che capita, mogano e noce.
ripeto le chitarre di Costantino sono molto più variegate
ne ho viste tante con tastiere in mogano (hai capito bene!),
noce.
Al contrario dei fratelli, Costantino fa un largo uso di osso
di mucca per le decorazioni, i bottoni sulla tastiera, l'appoggio delle
corde sul fondo.
in quelle di Vincenzo i perni dove si attaccano le corde
sono in osso, il ponticello in palissandro.
spero di essere stato abbastanza esaustivo.
queste sono un paio di foto di una delle mie
battenti di Vincenzo, l'altra è qella di bin laden.
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Re: evoluzione/tradizione nella costruzione della battente
[03-04-2007]
Vincenzo è moooooolto più rigoroso e abitudinario,
Costantino è più.... improvvisatore, si organizza al momento.
non so dove si rifornisca Vincenzo, non me lo sono mai chiesto,
Costantino invece (io sospetto che lo abbia fatto anche Vincenzo),
oltre alle sue scorte di legni, utilizza anche ciò che resta di vecchi mobili,
ad esempio mi disse che il manico della mia chitarra (noce)
lo aveva ricavato dalla base di un vecchio armadio di una cinquantina d'anni.
Con questo armadio ci costruì una decina di chitarre.
Ad ogni modo non credo si riforniscano più oramai,
considera che i De Bonis hanno una tale scorta di
legno in deposito che credo gli basti per il resto della vita
e anche oltre.
Per quanto riguarda le "recchie" io ho sempre sentito dire che avessero
una funzione acustica, consentissero al suonatore di ascoltarsi meglio
in situazioni di particolare frastuono, potrebbe anche essere una cazzata,
non so, tu sei più esperto di me in fatti di liuteria.
baci
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