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alla scoperta delle cose perdute
[08-06-2007]
ciao vorrei sapere come posso trovare le origini delle nostre (cilentane) tradizioni, tipo da dove viene l' occhio" oppure quelle perdute tipo le calende, le supestirzioni e le feste perse i cibi perduti...avete idea di come posso fare?
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Re: alla scoperta delle cose perdute
[16-06-2007]
ti ringrazio Gioia per le tue domande che mi danno l'opportunità di sfoggiare tutto il mio sapere tradizional-culinario..
-'mbuttunata vuol dire imbottita, credo che etimologicamente venga da "abbottonata" o "abbottata"
-'a scapece viene da "ex Apìcio", vuol dire "come le cucinava Apìcio", che era il famoso cuoco dell'imperatore Tiberio, è appunto una modalità di cottura che consiste nel friggere l'alimento in olio di oliva e poi marinarlo in una salsa di aglio, menta e aceto rosso (delizioso..)
-'a sciusciello non ti so dire con precisione, sembrerebbe che derivi da un particolare tipo di pane, usato in rare occasioni credo di festa, chiamato così perchè "il sciuscio" cioè il soffio d'aria faceva sì che durante la cottura della piccola pagnotta, la superficie inferiore si separasse da quella superiore creando praticamente una tasca, che si poteva quindi imbottire con ogni ben di dio,
praticamente l'equivalente della ben nota "pizza fritta" dell'area Emiliana..
ma io per diverse ragioni che non sto ad elencarti ho seri dubbi su questa interpretazione, e credo che questa cosa abbia poco a che fare con la pietanza attuale, oppure che questa col tempo sia stata "rivisitata" e adattata agli usi alimentari locali cilentani,
etimologicamente potrebbe anche avere a che fare con il carrubo, un'albero molto diffuso nel Cilento, chiamato appunto "sciusciella", ..mahh!!....
e ora un pò di "letteratura" in tema..
"A la tornata fece cocenare
lo patrone doie torza e no sciosciello
e po’ facette a tavola sedere
a canto ad isso Ciullo e la mogliere. " (G. C. Cortese. La Vaiasseide).
"La fece gialla commo a no lopino
e molla, iusto comm'a no sciosciello:
sta cosa, certo, pe lo cellevriello
non me fa requià, sera e matino! " * (Sgruttendio. La Tiorba a Taccone).
"... a fare no 'ngrattenato de no campanaro de puorco, no ciento-fegliole, idest na cajonza co lo vruodo conciato, no pegnato de torze spinose co lo lardo adacciato, na ciaulella de fave 'ngongole, no sciosciello, no piatto de sango co l'aruta, na pizza de rerita 'nfosa a lo mele, muorze gliutte, voccune cannarute, e ba' scorrenno." (Pompeo Sarnelli. La piatà remmonerata).
* "La Tiorba a taccone, de Felippo Sgruttendio de Scafato" è il titolo di una raccolta di sonetti e canzoni in dialetto napoletano che venne per la prima volta pubblicata, vivente l'autore, nel 1646.
Detto appena che la tiorba è uno strumento musicale della famiglia dei liuti, che il taccone è il plettro, e che Felippo Sgruttendio è uno pseudonimo, occorre sottolineare che questo canzoniere rappresenta una parodia del petrarchismo e una rivalutazione della poesia vernacolare considerata di basso livello durante il dominio spagnolo a Napoli.
Diversi sono i temi affrontati: In vita e in morte di Cecca, l'amore, la bellezza della donna, il dialogo con gli accademici, la vita nei quartieri popolari di Napoli, la musica, il ballo popolare.
Le analogie, in chiave ironica, quando non addirittura satirica, col canzoniere petrarchesco, sono evidenti... (da Libreria Neapolis)
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